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Cose connesse alle cose, e con noi

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eurotech

Immagine da eurotech.com

«I social network ci hanno abituato sempre di più a percepirci in uno stato di connessione continua tra noi, a prescindere dai vincoli spaziali».

Siamo abituati, grazie ai device che ci seguono ovunque andiamo (smartphone, tablet, etc..) a vivere una continua relazione tra gli spazi e le comunità sociali di cui facciamo parte con i dati e le informazioni che lì si moltiplicano.

Sbirciando sulle timeline e interrogando app scegliamo i luoghi dove andare in vacanza, raccontiamo pezzi di quotidianità, paghiamo una bolletta, prenotiamo una visita al museo, misuriamo e condividiamo le nostre prestazioni sportive.

«Ma il futuro – scrive Giovanni in un post pubblicato su TechEconomy – espanderà la relazione fra corpi e informazioni in modi più complessi, che coinvolgeranno le cose e i processi all’interno dei contesti.»

La tecnologia di produzione di questi dispositivi del quantified self  e dei computer wereable (per esempio, i Google Glasses) produrrà anche a una rete sempre più densa di collegamenti tra questi oggetti, tutti produttori di dati o informazioni capaci di costruire «una narrazione» dei nostri comportamenti.

Vale per la lettura del battito cardiaco a seconda dei fattori che hanno condizionato magari la corsa al parco; vale per il livello di pm10 nell’aria delle città e per le strade da chiudere al traffico in tempo reale a seconda dei picchi di inquinamento misurati dai rilevatori.

Oggetti, sensori, device parleranno in modo sempre più preciso tra loro.

«Cose connesse alle cose», una rete fitta fitta di connessioni di cui noi siamo nodi.

Così, l’Internet of Everithing pone soprattutto il tema di una cultura della «cura del dato».

Scrive Giovanni: «Diventerà quindi discriminante curarci sempre più di come i nostri dati (del corpo e dei nostri oggetti ed ambienti quotidiani) si lasciano trattare come informazioni e di come verranno messi in relazione, per non tacere dei rischi corrispondenti».

Dovremo districarci in «un mix tra bisogni dell’individuo e bisogni della società, in un equilibrio problematico tra deriva orwelliana e condivisione partecipata».

Il punto è tutto racchiuso nel titolo del pezzo: Social Internet of Everything: una cultura per il futuro connesso che ci attende. 

A proposito di misurazione delle nostre vite, c’è chi ha cominciato a tenere conto dei dati che fanno parte della quotidianità più comune. Quantifying My Life è un breve racconto, riassunto in post, dei dati raccolti in una giornata da uno sportivo.

In questo scenario, però, c’è una riflessione che riguarda anche gli aspetti pratici della nostra continua immersione nell’Internet of Everything. Riguarda soprattutto l’usabilità degli oggetti connessi e indossabili.

La tecnologia dei wearable device ancora sta affrontando fattori di uso, soddisfazione, praticità: durata delle batterie, per esempio, o peso e dimensione, ma anche estetica.

E al momento, scrive Kevin McCullagh,  niente lascia presagire che  questi computer avranno un impatto forte come accaduto, invece, per gli smartphone: Why wearable devices will never be as disruptive as smartphones.

 


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